|
|
When I was young, dreaming about stars
E in effetti tutto inizia così. Sogni, l'essere bambini in un mondo in cui tutto è già alla portata di mano: pianeti, stelle, buchi neri, razze aliene. Perché limitarsi a una vita normale sul pianeta natale, perché invece non voler da subito, da quando si hanno pochi anni, intraprendere quello che poi è diventata la tua vita, l'essenza della tua vita.
Viaggiare nello spazio, vivere lo spazio, sentirlo proprio, sfruttarlo... Esserne parte. Peccato che di mezzo ci fossero dei genitori per nulla inclini a tutto questo: dei tradizionalisti. Dei reazionari della tecnologia, preferisco chiamarli io. "No, non diventarai mai un comandante di una nave spaziale". "No, tu resterai qui a lavorare come un comune abitante". Dei mantra da parte dei miei genitori. Poi i mantra sono diventati - man mano che crescevo - delle minacce.
Ma il mio chiodo fisso era lo spazio. E così, a soli 15 anni e con poche idee e mezzi sulle spalle, scappo di casa e mi dirigo verso lo spazioporto più vicino. Non sapevo nemmeno cosa fare, a chi chiedere, come pagare un mezzo di trasporto. Ma volevo andarmene, raggiungere una destinazione qualunque: non importava il dove, importava respirare lo spazio, quello linfa per me vitale, agognata, ricercata, voluta.
MI accordai con quello che poi scoprì essere un "poco di buono": "Tu lavori per me sulla nave e io ti porto alla mia prossima destinazione", mi disse. Tradotto: "Sarai un mio schiavo e poi farò di te quello che voglio, povero ragazzino illuso".
Schiavo... Prigioniero... Poco cambia: passai i miei successivi due anni a fare qualsiasi cosa mi venisse chiesta, vivendo dentro a una nave lurida, guidata da persone luride. Mercanti da quattro soldi, contrabbandieri, ricercati. Ma, nonostante tutto, imparai molto, iniziai a capire il mondo, iniziai a comprendere i meccanismi di funzionamento di una nave, come si pilota, come si attracca, come si decolla.
Ma ora dovevo uscire da lì. "I sistemi di comunicazione!", mi dissi un giorno, svegliandomi in piena notte. Era "facile": strisciai fuori dalla mia cuccetta, stando attento a non svegliare nessuno. La plancia era deserta, mentre la nave viaggiava verso il suo prossimo sistema. Non fu facile capire come fare, ma - probabilmente un grande colpo di fortuna - riuscii a attivare un beacon a bordo la cui dicitura era "attivare segnale di allerta se attaccati". Pochi giorni dopo mi trovai nel bel mezzo di uno dei soliti scontri a fuoco: attaccavamo navi mercantili. Ma la sorpresa, non tanto mia, quanto dell'equipaggio fu tanta: "Navi della sicurezza ci ingaggiano! - urlò il capitano - Da dove saltano fuori, chi diavolo ha attivato il beacon??". Tutti si girarono verso di me, pronti a uccidermi, quando un colpo diretto alla hull mise praticamente fuori uso la nave. "Breccia imminente, breccia imminente", gracchiava il computer di bordo. Pensavo di essere morto. Ma non fu così: ci abbordarono. Si trattava di una nave della Federazione. Venni interrogato e poi rilasciato: mi portarono in un settore della Bolla, un avamposto minerario. "Sempre meglio di dov'ero prima", mi dissi.
Lì iniziò la mia seconda nuova vita. Il comandante della base mi diede un lavoro, pagato. Iniziai a lavorare sodo come tecnico di smistamento in una delle varie catene di produzione e di raffinazione dei minerali. Passarono altri due anni. A 19 anni raccimolai abbastanza crediti per riuscire ad acquistare la mia prima nave: un scassato e usato Sidewinder. Il comandante dell'avamposto mi disse: "Sei sicuro di andare? Lì fuori e con quel mezzo la tua vita non sarà facile, resta qui con noi". Ma ardevo di desiderio: dovevo andarmene, esplorare.
Non fu facile: il sidewinder era davvero pessimo. Lo feci riparare alla meglio e buona ma - non lo nego - avevo sempre il terrore, a ogni salto, di esplodere in aria. Ma non fu così: dal sidewinder, con grandi sacrifici, passai a un Cobra MK III. Con quella nave iniziai a barcamenarmi con missioni più importanti: imparai a trasporare passeggeri, iniziai a fare il mercante di merci preziose e rare. Fu in quel periodo che venni notato in una sistema abbastanza insignifante da una nave che battevva il vessillo della Da Vinci corporation. "Sei in gamba, ragazzo, unisciti a noi. Se ti interessa presentati a Wolf 1230", questo diceva il messaggio. Accettai: Wolf era a una distanza per me ancora assurda per raggiungerlo: dovetti spendere molti crediti per un motore nuovo, per un fuel scoop ma riuscii nell'impresa. Arrivai a Wolf, Guidoni Dock. "Devi fare delle cose per noi", mi dissero. Temetti di finire di nuovo come uno schiavo, ma non fu così: erano missioni vere, attaccare pirati, missioni passeggeri. Non ci volle molto: entrai nella DVC. Missione dopo missione e sotto la guida della mia nuova famiglia, perfezionai le mie conoscenze. I crediti guadagnati aumentavano: mi comprati un ASP, poi un Fer de Lance. La mia avventura è lungi dall'essere finita.
07 commanders
|